Panino giusto è la catena italiana dai prezzi più alti?

Panino giusto è la catena italiana dai prezzi più alti?
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Ora Panino giusto fa anche il cheesburger - che a pranzo esce dalla cucina alla non modica cifra di 12 euro - ma i panini restano il suo marchio di fabbrica. Altrimenti si chiamarebbe Il paradiso della brugola.

Sono anni che non venivo da queste parti., Alle mie prima apparizioni, 10 anni fa, da romano migrante, lo shock economico era piuttosto estremo. Varie cose mi colpivano. Soprattutto il formato: il panino piccolo piccolo con tanto companatico, stile tramezzini veneziani, che ti imponeva un secondo giro e il conseguente conto sui 20 euro.

Mi colpiva anche la scelta di rendere un’esperienza ricercata e modaiola un atto che compivo tutti i santi giorni dal salumiere sotto casa. O almeno nei giorni in cui non cadevo nella tentazione romana primaria: la pizza a taglio.

Successivamente mi sono abituato ai costi della città e alle numerose aperture tutte caratterizzate da design studiato, racconto (spesso sfiancante) della materia prima, comunicazione centralissima. Con il senno di poi, forse è giusto celebrare la lungimiranza di Panino giusto, aperto dal 1979! 

Molto poco è cambiato da quei tempi, forse troppo poco visto il dinamismo quasi schizofrenico della concorrenza. Quello che vedete in foto è un panino da 8.50 euro, si chiama Tra i due, ha un look meno goloso di quello dell’immagine ufficiale, contiene pane di farina di frumento e grano arso con lievito naturale, bresaola della Valtellina, stracciatella di burrata pugliese, crema di olive taggiasche,fiori di zucca ed è stato pensato dallo chef stellato Claudio Sadler.

Non so se ci volesse uno chef per concepirlo o se nei tempi abbia perso qualcosa del progetto originale, ma quello che mi è arriva è solo un discreto panino. Il pane, diversamente indimenticabile, risente un’eccessiva grigliatura, il contrasto tra il suo calore e la freddezza della stracciatella è eccessivo, la bresaola non si distingue particolarmente, ma il vero limite è la salsa.

Troppo invadente e cremosa, ricorda la Philadelphia alle olive che angosciava i banchi frigo dei supermercati un paio di decenni fa. Le taggiasche non sono pervenute, o meglio potevano essere qualsiasi olive, affrante da una composizione di grana grossissima.

I fiori di zucca, anzi IL fiore di zucca invece, si presenta alla fine, timido, nascosto e sovrastato, sfido a riconoscerlo nei sapori in un assaggio alla cieca. 

Arriva il conto: l’acqua da 33cl costa 2 €, il coperto 1€, sfondo amichevolmente la soglia degli 11€, che a pranzo non è mai notizia lieta, e mi rimane (senza la noiosa retorica da “vado allo stellato, torno a casa e mi faccio una carbonara”) un po’ di fame.

Forse per un posto che fa economia di scala sono prezzi eccessivi. Non credete?
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